Manuale di sopravvivenza per freelance (parte 2): le cose belle
Dopo la pubblicazione della prima parte di questo lunghissimo doppio post, in molti mi hanno chiesto: "Eh, voglio vedere quando scriverai le cose belle della vita da freelance!". Ci ho messo un po': ma non perché le cose belle non ci siano.
La difficoltà vera, lo confesso, è stata riuscire a raccontare queste cose in maniera comprensibile: alcuni meccanismi sono diventati con gli anni nascosti, automatici, quasi irrazionali – ma, pensandoci, irrinunciabili per la mia vita professionale e personale oggi. Tant'è che, ve ne accorgerete, in queste cose belle non si parla di cifre, numeri, percentuali: sono sensazioni, sentimenti, pensieri. E proprio per questo, che ci crediate o no, sono più importanti di qualunque aliquota INPS ci imponga il governo.
Come il precedente capitolo, anche questo doppio post è dedicato ai freelance della creatività: graphic designer, web designer, traduttori, copywriter, pubblicisti, videomaker, sviluppatori, illustratori, architetti dell’informazione, fotografi. Questo post è dedicato ai 2 milioni di italiani, soprattutto giovani, che producono quasi il 6% del PIL italiano. Questo post è dedicato a chi ogni tanto ha il coraggio di dirmi “Eh, ma tu libero professionista fai una vita di merda” oppure “Non ce la faccio, l'anno prossimo chiudo la Partita IVA". Questo post è dedicato ai giovani diplomati e laureati, che stanno pensando: “Cerco lavoro o mi metto in proprio?”, e magari hanno bisogno di capire che, nonostante tutto quello che si sente in giro, la vita da freelance è ancora la migliore vita possibile.
Più tempo per tutto
Due giorni fa era lunedì: mentre i dipendenti andavano al lavoro col muso lungo e assonnato, io ho portato mia figlia alla scuola materna e sono andato a fare la spesa – il lunedì mattina non c'è nessuno, ci ho messo un attimo. Ho fatto un paio di telefonate dalla macchina, e sono rientrato a casa. In mattinata ho fatto una focaccia, e nei tempi di lievitazione ho inviato un paio di mail. Ho fatto mezza dozzina di pause caffè, fumando altrettante sigarette. Il tutto, ascoltando una playlist math-metal su Spotify a tutto volume. Ho lavorato subito dopo pranzo fino alle 16, per poi passare il pomeriggio con i bimbi e rimettermi al lavoro solo dopo la cena, fino a mezzanotte. Non ho timbrato cartellini, non ho guardato l'orologio.
Il tempo è la vera arma del freelance: poter gestire autonomamente quando e quanto lavorare è la vera chiave di volta della nostra posizione lavorativa. Non scendete a compromessi su questa cosa, quando potete: nessuno deve dirvi quando dovete lavorare, ma solo entro quando dovete finire quel progetto. Dal briefing alla consegna dei file, l'organizzazione del lavoro è affar vostro. Ed è un dato di fatto che il freelance abbia più tempo per sé, la propria famiglia e le proprie passioni. Lettura, musica, passeggiate, attività sportiva, cinema: con un po' di organizzazione del tempo, è possibile fare tutte queste cose con una certa libertà (senza dimenticare il vantaggio più grande: se lavorate in casa, potete restare in mutande davanti al computer tutto il giorno, se vi va).
Certo, questo ha delle conseguenze pericolose che abbiamo visto nella prima parte di questo post: è richiesta una rigida organizzazione del lavoro, la massima reperibilità, la disponibilità a lavorare giorno, notte e weekend, la lucidità nella gestione dei progetti anche sotto pressione, la disponibilità a rinunciare a tutto per affrontare periodi di lavoro intenso e urgenze.
Artefici del proprio successo
Croce e delizia di questo mestiere: non avete nessun capo sopra la testa, quindi nessuno vi dice come fare quello che state facendo. Siete voi artefici e responsabili dei vostri successi. Sono la vostra visione, la vostra interpretazione del briefing, il vostro talento e le vostre conoscenze ad essere in gioco: siete voi responsabili diretti dei vostri successi, dei complimenti ricevuti, dei premi, degli applausi (e, ovviamente, anche di tutte le critiche).
Ogni piccolo risultato è una soddisfazione: un follower in più su Twitter, un post particolarmente commentato, una mail di ringraziamento per il lavoro svolto, un progetto complicato concluso con successo. Perché non conta quanti successi si sono raggiunti, ma come li si è guadagnati: uno ad uno, faticando in prima linea, con la propria faccia, il proprio nome, il proprio lavoro.
E questa è casa mia, e qui comando io
Se c'è una cosa che un freelance con qualche anno sulla schiena impara a fare – ma nessun dipendente riuscirà mai a fare – è scegliere i propri clienti. Ci sono modi indiretti (ad esempio, pubblicando sul portfolio solo i lavori che vorremmo fare; o contattando direttamente nuovi clienti con cui ci piacerebbe lavorare) e modi diretti (il più semplice: dire "No!" a richieste di lavoro che non ci piacciono), ma il risultato è il medesimo. In una situazione ideale – e non sempre lo è, lo sappiamo – il freelance può occuparsi solo di progetti interessanti e piacevoli. E lasciatemelo dire, è questo il modo migliore per lavorare.
Il piatto piange, il piatto ride
Mettiamola così: salvo ferie non godute o bonus improvvisi, la mensilità del dipendente è una noiosa sicurezza. La cifra è sempre quella e l'aumento è raramente proporzionale alla qualità e quantità del proprio lavoro. Il freelance non sa quanto guadagna davvero al mese: può forse fare un conto medio sul fatturato annuale, ma è una stima zoppa. Ma ha due certezze. La prima, importantissima: che se lavora bene e tanto, guadagna (o, prima o poi, guadagnerà) di più. La seconda: che càpitano alcuni mesi, durante l'anno, in cui si può sbirciare il conto in banca, appoggiare la schiena alla sedia, fare un sorriso e gonfiare il proprio ego di orgoglio.
Problem solver di formazione
Se è vero che la conduzione della propria vita professionale influenza anche la mentalità personale, lavorare da freelance forma in qualche modo la persona a ragionare in modo diverso. Siamo abituati al rischio, alla difficoltà, al lavoro sotto pressione, alla responsabilità personale. Siamo problem solver di formazione, in qualche modo. Siamo piagnoni e superbi, magari, questo sì. Ma con l'esperienza sul campo si diventa necessariamente organizzati, aggiornati, iperattivi, multi-tasking. Si diventa – nostro malgrado, ed è il mio caso – un po' più socievoli e amichevoli, disposti al compromesso, al dialogo, alla contrattazione. Si impara a leggere tra le righe, ad intuire una posizione altrui da piccoli indizi, a trovare rapidamente soluzioni e punti d'incontro.
A testa alta di fronte al mondo
Questa cosa bella della mia vita professionale è la più difficile da raccontare. In qualche modo, per la somma di quanto detto qui sopra, mi sento diverso. Migliore, se vogliamo, col rischio di passare per egocentrico. Sento di contribuire in prima persona a costruire bellezza, cultura, lavoro; sento di dare forza e creatività al tessuto produttivo del mio territorio; sento di non essere un numero come tanti altri nel sistema lavoro. Mi sento coraggioso, perché pur proveniente da una storia famigliare di dipendenti classici (papà militare, mamma in banca) ho avuto il coraggio di provarci e, tra alti e bassi, credo di avercela fatta. Mi sento testardo, perché pur nelle difficoltà non ho mai mollato e sono ancora convinto che la vita da freelance sia la migliore possibile. Posso andare a testa alta nel mondo, perché costruisco giorno dopo giorno qualcosa di piccolo ma importante, nuovo e soprattutto completamente mio.