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Fulvio Bisca: un carattere può essere semplicemente bello?

Come nasce un carattere? Come si progetta un’intera famiglia? Come si coordinano equilibrio, misure, pesi, posture? C’è ancora spazio per nuovi caratteri? Ne parliamo con Fulvio Bisca. Classe 1970, è illustratore, graphic designer, type designer e docente al Dipartimento Communication and Graphic Design dello IAAD di Torino. 

 

Come sei arrivato alla progettazione tipografica? Che formazione hai avuto?

Sono un autodidatta. A un certo punto della mia attività di progettista grafico mi sono reso conto di avere delle lacune riguardanti la tipografia e il lettering, quindi ho deciso di disegnare un carattere tipografico ex novo per approfondire analiticamente quegli argomenti che prima avevo affrontato solo in modo intuitivo. A posteriori mi sono accorto di aver sottovalutato la complessità della cosa, il che è stato un bene, altrimenti credo che non avrei mai iniziato. Ad ogni modo, documentandomi e affrontando i problemi tecnici e progettuali che di volta in volta si presentavano, sono riuscito a terminare il mio primo carattere, e con mia sorpresa ho ricevuto feedback positivi da più fonderie che mi invitavano a espandere il progetto per la pubblicazione. La famiglia finale sviluppata in 15 font è stata infine commercializzata nel 2001 da T-26 col nome Antitled.

 

Come funziona il flusso di lavoro di un type designer? Inizi con degli sketch a mano o direttamente in digitale?

Personalmente non uso uno schema di lavoro standard. La partenza può essere indistintamente uno scarabocchio fatto durante una telefonata o una precisa ricerca geometrica elaborata al computer. Anche durante lo sviluppo il disegno delle lettere rimbalza continuamente dalla matita al software. Lo sketch a mano è più veloce quindi utile per chiarirsi le idee, mentre il lavoro al computer – che occupa la maggior parte del tempo – è indispensabile per definire con precisione tutte le forme e i parametri che saranno contenuti nel font finito e utilizzabile.

Alchimista_Tipografico

 

Hai delle predilezioni nella progettazione? Non so: alcune lettere prima delle altre? Prima le minuscole e poi le maiuscole?

Solitamente si parte da alcune lettere chiave, che è utile risolvere per prime perché su queste si basano poi le altre. La H e la O sono un ottimo punto di partenza sia per le maiuscole che per le minuscole: con queste lettere è possibile determinare la forma delle grazie (se presenti), lo spessore nei tratti verticali, orizzontali e curvi, l’altezza di maiuscole, minuscole e ascendenti, oltre che permettere una prima valutazione della spaziatura orizzontale dei glifi. Come secondo obiettivo è utile comporre una parola test, in modo da lavorare sulle varie forme in relazione tra loro, anzichè concentrarsi sul disegno delle singole lettere. In molti usiamo la parola Hamburgefontsiv, che non significa nulla ma contiene un buon numero di lettere con diverse caratteristiche fondamentali.

 

La formazione professionale in graphic design e le competenze da illustratore ti aiutano in qualche modo nel tuo lavoro di type designer?

Sì, assolutamente. Penso che la mia formazione non ortodossa mi aiuti ad avere una visione originale e al contempo rigorosa nella progettazione del carattere tipografico. A volte si dimentica che i font devono essere prima di tutto funzionali, e l’utilizzatore principale è il progettista grafico. Ecco perché secondo me è imprescindibile il punto di vista del graphic designer anche nel type design. D’altronde è vero anche il contrario: l’esperienza nel disegno dei caratteri è una marcia in più per il designer che debba ad esempio elaborare un logotipo o effettuare delle scelte tipografiche. La mia esperienza come illustratore si rivela invece utile quando si tratta della parte più artistica ed estetica: credo che di un carattere si dovrebbe poter dire anche solo semplicemente che è bello, qualsiasi cosa questo significhi. L’equilibrio tra spazi positivi e negativi, le sottili correzioni ottiche, l’utilizzo di proporzioni armoniche: queste insieme a molte altre accuratezze possono essere usate o consapevolmente trascurate per arrivare a un risultato finale che provochi reazioni esteticamente rilevanti.

 

Lo chiedo a tutti e ormai è diventato quasi un gioco: parlando di Romani Moderni, meglio Bodoni o Didot?

Risposta breve: Bodoni. Risposta lunga: i Romani Moderni che usiamo oggi sono digitalizzazioni e dunque distanti interpretazioni dei caratteri in piombo originalmente disegnati da Bodoni e Didot. Ad esempio, basti pensare che nelle edizioni originali il disegno del carattere varia per ogni corpo del carattere, mentre la maggior parte delle versioni digitali prevede un solo modello scalabile in tutte le grandezze. Per noi ha quindi più senso scegliere tra le diverse digitalizzazioni, piuttosto che fare riferimento al nome del carattere originale: potremmo avere un Bodoni migliore di un Didot o viceversa, a seconda delle versioni che sceglieremo di confrontare e dell’applicazione per cui occorre la valutazione. Nell’ottica di questo discorso, vale la pena citare l’ottimo HTF Didot e l’ITC Bodoni, che comprendono differenti varianti da utilizzare in corpi diversi; il Bauer Bodoni, preferibile per i titoli, e il Berthold Bodoni, più adatto per comporre i testi. Uno dei progetti più recenti che ho avuto modo di notare è il Parmigiano Typographic System, pubblicato da Typotheque e basato su un approccio contemporaneo piuttosto che filologico all’interpretazione del Bodoni.

Antitled_Specimen

Parliamo dei tuoi lavori. Antitled: da dove è arrivata l’ispirazione? 

Essendo il primo progetto a cui ho lavorato, il movente per me è stato anzitutto quello autodidattico. Sono partito analizzando i caratteri che in quel periodo per vari motivi trovavo particolarmente interessanti: Officina, Conduit, Template Gothic. Così mi sono divertito a smontarli per cercare le caratteristiche fondamentali che mi colpivano, per poi in qualche modo sintetizzarle in un disegno il più possibile essenziale e personale. Può sembrare contraddittorio, ma ho cercato di riunire le varie caratteristiche in un processo di sottrazione, anziché di addizione.

 

Non posso non chiedertelo: ho notato che i terminali delle aste diagonali (come in A e V) non sono paralleli rispetto alla linea di base: una scelta curiosa...

Sì, questa caratteristica che può sembrare arbitraria nasce in realtà da un approccio metodologico ben preciso. La logica che stavo seguendo era quella della sottrazione, della riduzione all’essenziale. Il grado zero di un carattere lineare è una semplice linea di spessore costante, che se tracciata in un software di grafica vettoriale termina troncata in modo indipendente dalla linea di base: il taglio sarà semplicemente ortogonale alla direzione del tracciato nel punto di interruzione. Ho deciso dunque di mantenere questa costruzione invece di quella più tradizionale e artefatta che vuole le aste diagonali troncate orizzontalmente senza tener conto della loro inclinazione.

Cutoff_Specimen

Veniamo a Cutoff Pro: un lavoro fantastico. Elegante, leggibilissimo e molto contemporaneo. Raccoglie l’eredità del Rotis aggiungendo dettagli davvero straordinari: adoro il cappio della g, la spina della s, lo strano taglio backslanted della C e della a e i numerali – fantastici. Come hai lavorato a questo carattere?

Ho disegnato la prima versione del Cutoff nel 2005 per la rivista Miele, un free magazine con cui all’epoca collaboravo anche in qualità di editor e art director. La necessità era quella di un Semi-serif inusuale ma leggibile, e con un sapore contemporaneo. Ero affascinato dal lavoro decostruttivista di type designer come Jeff Keedy, Phil Baines e Otl Aicher (l’autore del Rotis, come da te correttamente osservato). L’idea era quella di rendere l’impressione tipicamente anni ’90 di un Transizionale mutilato malamente; allo stesso tempo, essendo nel frattempo passato un decennio, per rendere il disegno contemporaneo occorreva rimarginare le ferite di questa mutilazione restituendo eleganza e grazia alle forme.L’effetto finale è dovuto proprio a questa progettazione schizofrenica divisa in due fasi: prima la spietata decostruzione a colpi di bisturi, poi la cura attenta e amorevole delle lettere fin nei più piccoli dettagli. Negli anni successivi, grazie anche ai feedback positivi ricevuti dalla rivista a proposito del Cutoff, ho continuato a lavorare a questo progetto estendendo il set di caratteri e disegnando stili aggiuntivi per arrivare a una famiglia completa. A quel punto ho contattato alcune fonderie per la pubblicazione, e la storica URW++ si è offerta di estendere ulteriormente il set di caratteri con la mia supervisione. Ti lascio immaginare l’emozione quando ho visto per la prima volta la declinazione in alfabeto greco e cirillico! Hanno fatto davvero un ottimo lavoro, e in conclusione la famiglia completa arricchita di glifi e funzionalità OpenType è stata pubblicata nel 2010 come Cutoff Pro.

 

Vertebrata_Specimen_RGB_2View

Infine, Vertebrata. Unisce perfettamente il fascino delle Capitalis Monumentalis con la solidità di uno Slab, mantenendo però un’estensione orizzontale ridotta. È usabilissimo in molte situazioni, sia come display font che come text font.

Anche per Vertebrata il processo è stato inusuale. La consuetudine vuole che si possa progettare un Lineare partendo da un Graziato, e non viceversa, perché altrimenti il risultato risulterebbe troppo freddo e innaturale. Immaginando di ribaltare la regola, mi sono chiesto quale aspetto avrebbe avuto questo Graziato così artefatto e costruito. Sono dunque partito da una spina dorsale estremamente semplice, geometrica e modulare, per molti versi simile a quella che descrive il mio primo carattere Antitled. Procedendo con la progettazione mi sono accorto che l’approccio razionale, oltre a produrre un design evidentemente contemporaneo, permetteva di inserire artificiosamente elementi da epoche e stili differenti che normalmente non coesistono. Oltre a quelli da te citati, ho voluto mantenere un ritmo estremamente regolare nel minuscolo, caratteristica che troviamo esasperata ad esempio nel Textura, il primo carattere mobile con cui è stata composta la Bibbia di Gutenberg. La versatilità per l’utilizzo nei diversi corpi è stato uno degli obiettivi dall’inizio del progetto, raggiunto tra le altre cose evitando l’utilizzo di particolari accorgimenti tecnici come gli ink trap –piccoli pozzetti scavati nei grafismi, utili a compensare l’impastamento che si produce quando due tracciati si uniscono con un angolo troppo acuto. Sono impercettibili nei corpi piccoli, ma diventano evidenti quando il carattere viene ingrandito, quindi ho deciso di aggirare il problema applicando solo correzioni ottiche adatte a tutte le dimensioni. Questo si può ottenere ad esempio assottigliando i tratti in prossimità dei punti di giunzione, quel tanto che basta per evitare l’impastamento ma senza arrivare al punto di creare un’anomalia percepibile.

 

Secondo Creativemarket, nel 2012 i singoli font hanno superato quota 455.000, con un ritmo di crescita del +30% in due anni. È presumibile, quindi, che oggi sia stata superata tranquillamente la soglia del mezzo milione di font esistenti. La domanda è: c’è ancora spazio per nuovi caratteri o è stato già progettato tutto?

A prima vista l’eccesso di offerta sembra un impedimento anziché un aiuto per chi debba scegliere un carattere. Occorre però notare che la grande maggioranza del materiale pubblicato è inutilizzabile a livello professionale, per via della qualità scadente. Considerando inoltre che il conteggio avrebbe più senso applicato alle famiglie intere anziché ai singoli font, credo che il numero di scelte si riduca all’ordine di grandezza del migliaio. La crescita dell’offerta va di pari passo con la maggiore consapevolezza tipografica che si sta diffondendo nel mondo del design. Un carattere progettato anche solo pochi anni fa potrebbe non essere adatto alle esigenze attuali; ad esempio potrebbe non essere ottimizzato per il web, oppure avere un’estensione limitata del set di caratteri, o semplicemente apparire fuori tempo perché esteticamente troppo legato a un trend ormai datato. Massimo Vignelli sosteneva che esistono troppi caratteri, e che a essere generosi ne sarebbero necessari al massimo una dozzina. Eppure, proprio lui diresse la progettazione di una versione del Bodoni differente da tutte quelle già disponibili (WTC Our Bodoni). Non posso che essere d’accordo: dodici famiglie di font bastano e avanzano, a patto che ogni designer possa scegliere il proprio set personale e che questo comprenda caratteri che ancora non esistono.

 

Come forse sai, su questo blog la tipografia ha un posto d’onore. Non posso quindi non chiederti tre consigli da dare ad un novello type designer: libri da leggere, corsi da seguire, esperienze da fare. 

Il libro: Il Segno Alfabetico, di Aldo Novarese. Il corso: Corso di Alta Formazione in Type Design – POLI.design (Milano). L’esperienza: comporre manualmente almeno un paragrafo di testo giustificato con caratteri in piombo.

 

 

 

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