Dove c'è Barilla c'è marketing
La vicenda: la Presidente della Camera Laura Boldrini, in una delle sue uscite pro-ruolo-della-donna, ha dichiarato:
In casa Barilla, che da quasi 150 anni ha fondato la sua comunicazione sul concetto di famiglia tradizionale, queste parole sono sembrate un'accusa. E il patron Guido Barilla, intervistato dalla nota trasmissione radio La Zanzara, ha rilanciato con una dichiarazione che ai più è sembrata come pestare una merda gigantesca:
Ed è scattata la bufera. L'hashtag #boicottaBarilla è salito subito in testa alle conversazioni su Twitter, mentre in rete spopolano sfoghi di rabbia, prese di posizione, scherzi e proteste più o meno ufficiali (persino Oliviero Toscani ha dichiarato che non comprerà più Barilla: ma va beh, Toscani non è più lucido dalla fine degli anni '90).
Fermo restando l'assoluta correttezza del concetto generale dietro l'affermazione della Boldrini – la donna non è più quella chiusa in casa a far da mangiare, badare ai bimbi e rammendare i vestiti –, e con il massimo rispetto per la comunità omosessuale, vorrei provare a fare un ragionamento un po' fuori dal coro.
Il punto è questo: non è che stiamo dando al marketing più peso di quanto non abbia? Credete davvero che la posizione di Barilla si possa definire omofoba e fascista, solo perché non mette i gay nelle sue pubblicità televisive? E che dire della De Cecco, che nel logo ha quella povera donna (sicuramente sfruttata e sottopagata) in abiti d'epoca che raccoglie il grano come si faceva cento anni fa? E la pasta Voiello (ok che è del gruppo Barilla, ma seguite il mio ragionamento), con un Pulcinella goloso e sullo sfondo il Vesuvio, summa banalotta e ignorante della Napoli stereotipata di pizza-mamma-mandolino?
Potrei proseguire: perché il bambino della Kinder è bianco? Saranno mica tutti xenofobi alla Ferrero? Sulle confezioni dovrebbero usare un bimbo per ogni colore, a costo di ricordare le vecchie campagne Benetton (guarda come ti ripesco Toscani). E chi si ricorda la vecchia campagna della Golia, quella con gli orsi polari? E alle foche, ai delfini, al gimnuro nano chi ci pensa?
E non ditemi che voi, donne magari un po' in carne o con qualche ruga, non vi sentite tremendamente offese dalle pubblicità di cosmetici, shampoo e detergenti intimi. O che tutti i possessori di macchine utilitarie non si sentono insultati nella loro virilità dal maschio abbronzato e di successo che in televisione guida un SUV da 200 cavalli.
E allora, per parafrasare un vecchio brano del sempre ottimo Simone Navarra, vietiamo tutta la pubblicità del mondo: via i jingle di merda perché danno fastidio a chi ascolta jazz. Via la pubblicità sulla carne di maiale perché offende chi non la mangia, anzi, via tutta la carne perché offende i vegetariani. Via i colori sgargianti dai packaging per rispetto dei daltonici, via le allusioni sessuali negli spot per rispetto agli impotenti e ai casti, via le persone troppo belle per rispetto ai brutti e via anche quelle brutte per rispetto ai belli. Togliamo tutto e restiamo, immobili ma identici, nell'assoluto vuoto.
Che la pubblicità possa in qualche modo essere davvero così tanto educativa come si teme, mi sembra un'utopia che neanche Mad Men. Alla meglio, può essere specchio dei tempi: il che la dice ancora più lunga sulla situazione culturale critica di un certo Occidente. Alla fin fine, sappiatelo, il boicottaggio Barilla sarà una bolla che scomparirà in un battito d'ali; la stragrande maggioranza di omosessuali, eterosessuali, italiani omofobi e non omofobi continuerà comunque a comprare pasta Barilla, come nulla fosse: perché marketing e coscienza personale, purtroppo o per fortuna, stanno su due piani diversi.